L’anamnesi in medicina si definisce come la raccolta di tutte le notizie che un paziente può fornire al medico per aiutarlo a formulare una diagnosi. La parola, un po’ misteriosa, viene dal greco e significa “reminiscenza”, anch’esso un termine antico, che ha a che fare con il ricordare. Quindi durante l’anamnesi si ricorda, i propri sintomi, le proprie sofferenze, di fatto un pezzo significativo, in genere doloroso in ogni senso, della propria storia.
La definizione classica che ho posto all’inizio, in realtà parla del risultato e questo è tipico della medicina allopatica; salta totalmente il percorso che si fa per arrivare alla raccolta significativa dei sintomi, che in realtà è il cuore vivo dell’anamnesi. Infatti come posso raccogliere sintomi se non raccontando, ricordando pezzi a volte slegati, a volte connessi, della mia sofferenza?
Racconto, ricordo, compongo una storia davanti a un medico che ascolta, quindi l’anamnesi è ancora prima di tutto una relazione. Una relazione fra 2 persone, chi chiede aiuto e chi si propone di darglielo, legate da uno scopo comune, non detto ogni volta ma molto forte, ovvero la guarigione, là dove possibile, o almeno un sollievo alla sofferenza.
E’ chiaro da tutto questo di quanto sia potente questa relazione, quanto alte siano le aspettative da entrambe le parti; eppure studiando medicina, tuttora, poco o nulla viene insegnato su come condurre o meglio, vivere, questa relazione potente. Il medico ha un suo protocollo da riempire, fogli già preconfezionati all’interno dei quali inserire il paziente; niente altro.
In realtà “l’altro” c’è tutto, il bisogno profondo di cura, da un lato, con tutte le sue paure e desideri, la capacità o la paura o l’indifferenza o l’attenzione di chi dovrebbe curare, dall’altro, una relazione piena di senso e significati, sminuiti spesso dalla inconsapevolezza di quanto tutto questo sia appunto, potente.
Chi si pone in direzione di curare dovrebbe apprezzare l’anamnesi come un momento ricco, intenso, significativo e anche soddisfacente. Chi desidera curarsi dovrebbe poter sperimentare la stessa ricchezza e intensità.
Quando so di affrontare l’anamnesi di una prima visita, tuttora dopo più di 30 anni di lavoro, sono un po’ emozionata, perché so che è l’inizio di un percorso che forse potrebbe durare anche a lungo, perché sto per incontrare una nuova persona, una nuova storia e le storie mi hanno sempre appassionata fin da piccola.
Per noi omeopati, poi , ogni storia è sempre diversa, portatrice di qualcosa che sempre ha delle novità, piccole o grandi che siano, rispetto a qualunque altra storia, una storia particolare, quella di quell’individuo.
Nel raccontare e nell’ascoltare siamo in due, entrambi all’interno della relazione, nessuno resta fuori e interroga o indaga (termine giuridico spostato sulla medicina), siamo tutti dentro alla relazione e da questa interconnessione ne nasce una conoscenza.
Per curare è necessario conoscere, per conoscere è necessario raccontare e ricordare e osservare, quindi stare in una relazione, la relazione è il fulcro dell’anamnesi. Se è una relazione, ci sono parole, ci sono scritti (per es le varie analisi fatte), ci sono segnali del corpo, ma non solo del paziente; le parole, il corpo, i gesti, i colori, gli odori, i fogli, i suoni sono emessi, prodotti da entrambi gli attori presenti sulla scena.
L’anamnesi è un luogo dove si mettono in gioco molti fattori, a volte consapevoli, a volte no, di tutti i presenti sulla scena, per esempio anche eventuali parenti o amici, con lo scopo di arrivare a conoscere la forma della sofferenza di chi chiede di essere curato; un luogo (spazio) e un percorso nel passato e nel presente (tempo) per arrivare a capire, a conoscere. Una buona anamnesi è già una parte importante del processo di cura.